Una volta più di Borg, una meno di Sampras. Fanno 6 Wimbledon in dieci anni. Fanno 20 Slam in tutto. Fanno 20-20-20 con Federer e Nadal. Fanno tre Slam nei primi tre dell’anno come non accade da Rod Laver nel 1969, quando l’australiano andò a prendersi pure il quarto e alla fine il Grande Slam. Ci sono solo i nomi della leggenda accanto a quello di Novak Djokovic stamattina, dopo la vittoria in quattro set contro Matteo Berrettini a Wimbledon in tre ore e 24 minuti. Per giunta, come scrive Quentin Moynet su “l’Équipe”, Senza praticare sempre il suo miglior tennis. A Wimbledon è a casa, tanto che è dovuta passare una pandemia di là per interrompere temporaneamente il suo regno.

Per Marco Imarisio del Corriere della sera è stata scritta la storia, anche se non è quella che piace a noi.  Sul più grande di tutti i tempi le discussioni andranno avanti all’infinito. Ma sul nome dell’avversario che oggi mai vorresti trovarti dall’altra parte della rete, non esistono dubbi.

La partita era iniziata nella forma di una mattanza. Djokovic ha avuto un set point sul 5-2 ai vantaggi, in un game di 22 punti. È andato a servire per il primo set sul 5-3 e ha subito il contro break da Berrettini. Tumaini Carayol, firma del “Guardian”, fa notare che la seconda di servizio in quel momento è andata a 119 kmh, 133 kmh due volte, a 135 e a 122. Cioè niente. E Berrettini ha vinto cinque di quei sei punti. Il serbo si è fatto portare al tie-break e lo ha perso (7-4) andando subito sotto di tre. A quel punto le statistiche dicevano che Djokovic in finale aveva un record di 6 vinte e 7 perse partendo da 0-1 e che Berrettini mai aveva perso su erba dopo aver vinto il primo set. Aveva lasciato solo 6 vincenti al numero 1 al mondo (contro 17) e a Djokovic aveva casomai ha regalato 20 punti con i suoi errori.

Ma le statistiche non tengono conto dei momenti diversi in cui si tengono certe partite. Djokovic s’è ripreso la partita. Nel terzo set Berrettini ha avuto la chance per rientrare in corsa nel sesto game, gli sono partiti due passanti s-centrati. Nel quarto set invece è calato al servizio, anche se aveva tutto il pubblico dalla sua parte perché, come scrive Stefano Semeraro su “la Stampa”, l‘unico campo in cui Djokovic non riesce ancora mettere la testa avanti è quello della popolarità.

Mats Wilander su “l’Équipe” dice stamattina che il serbo è sempre più esplosivo ai miei occhi, non sembra un 34enne. Lo trovo più muscoloso pur essendo rimasto flessibile e sempre veloce. Quando guardi Federer o Nadal, dici a te stesso che ne avranno ancora per un anno o due. Poi vedi Novak e pensi: altri dieci anni. Non spende mai energie superflue, né fisiche né emotive. Ha trovato l’equilibrio perfetto. Proprio mentre Boris Becker in una pagina sul “Daily Mail” stamattina si dice convinto che abbiamo visto l’ultimo Federer sul campo centrale di Wimbledon. O sa qualcosa o sta facendo terrorismo psicologico. Teniamo duro. Non sono bei momenti.

Matteo Berrettini è stato all’altezza della partita. Era quello che gli si chiedeva. La sua situazione non era simmetrica a quella della Nazionale italiana. La sproporzione dell’avversario: questa era la differenza. Gaia Piccardi sul “Corriere della sera” considera che È stato un lungo viaggio, ne parliamo al passato ma in realtà è appena cominciato”. Paolo Rossi su “Repubblica” dice stamattina: È che a un certo punto ti svegliano, anche se non lo vuoi. A Matteo Berrettini hanno dato un maledetto pizzicotto, lo hanno ridestato di soprassalto, e lui s’è ritrovato con qualcosa che non voleva: un piatto d’argento invece di una coppa. Un giorno così, questo Wimbledon 2021, lo ricorderemo come una luce abbagliante e il sorriso – certo, anche amaro – di Matteo resisterà alla storia.

Stefano Semeraro su “la Stampa” ha scritto che il ricordo che ci terremo addosso, di questa giornata comunque fantastica, la luce da accendere nei giorni storti, è il coro che ha accompagnato Matteo Berrettini per tutta la sua prima – e immaginiamo, speriamo, fortissimamente crediamo – non ultima finale Wimbledon. «Mat-te-ò! Mat-te-ò», tre sillabe, un verso d’amore per l’italiano che ha stregato il torneo, che ha continuato a piovere dalle tribune anche quando, alla fine del quarto set, era chiaro che il finale era già scritto. Il tennis italiano può mettere per un po’ da parte il passato, perché da ieri è iniziato il suo futuro.

Per Marco Imarisio sul “Corriere della sera”, sembra un paradosso, ma rispetto alla recente battaglia del Roland Garros, quando aveva portato il campione serbo alle soglie di un quinto set per lui molto pericoloso, l’erba non lo ha favorito. Sulla più veloce delle superfici, non ha potuto fare quello che sulla terra pesante di Parigi gli era riuscito, girare intorno alla palla e picchiare di dritto come un forsennato. Era quella l’arma che doveva fare la differenza. Non la battuta, perché Djokovic possiede la migliore risposta del sistema solare, e anche ieri lo ha dimostrato. La santissima trinità del tennis è ormai al crepuscolo, per quanto sfolgoranti siano i bagliori di Djokovic. Presto tornerà la democrazia. Berrettini ha dimostrato di essere pronto, su ogni superficie.  Anche se non sembra, i tempi stanno cambiando. E ben presto la Storia saremo noi.